Dice Warren Buffett, terzo uomo più ricco al mondo, che ci vogliono “vent’anni per farsi una reputazione, e cinque minuti per rovinarla”. Vangelo in un’epoca in cui le notizie grazie al web viaggiano alla velocità del suono da un capo all’altro del mondo. Lo sanno bene alla Volkswagen dove ci vorranno anni per ripulire l’immagine del marchio tedesco infangato a livello globale dal dieselgate. Della reputazione aziendale, e del suo rapporto con i meccanismi digitali, si è parlato ieri sera a Roma in un convegno organizzato da Federmanager (in collaborazione con la Fondazione ProPosta), nella sede della federazione dei dirigenti industriali presieduta da Stefano Cuzzilla.
REPUTAZIONE E WEB, UN RAPPORTO DIFFICILE
Non è facile per un’azienda curare e mantenere linda la propria reputazione nella galassia di internet. Perché se da una parte, come sottolineato da Federmanager, oggi qualunque impresa che voglia competere sul mercato deve “costruirsi un’identità digitale, che rappresenta un’opportunità di sviluppo per le aziende” dato che oggi “è la reputazione che fa il fatturato”, è anche vero che ci si mette davvero poco a essere messi alla gogna. Basta fare uno sbaglio ed ecco che il fattaccio si diffonde in rete come un virus. E risalire poi è dura. Ma allora come costruire una solida reputazione online mettendosi al contempo al riparo dai rischi della rete?
QUEI MANAGER ITALIANI (POCO) SOCIAL
La soluzione è come al solito in medias res. E cioè sì a un robusto ricorso ai social network, per garantire la massima visibilità al proprio brand, purché se ne faccia un uso intelligente. La federazione dei dirigenti ha evidenziato come in Italia si faccia una certa fatica a familiarizzare con i vari Twitter, Facebook, Linkedin e Instagram, Secondo una ricerca della John Cabot University infatti i social network sono entrati nella vita lavorativa solo nel 49% degli italiani, contro il 74% degli statunitensi. L’analisi – illustrata da Michèle Favorite, Professor of Business and Communications John Cabot University – rileva come, nel complesso, il tasso di penetrazione del web Oltreoceano si aggiri intorno all’80%, scendendo al 60% in Italia. “Certo che bisogna stare sui social, ma mantenendo un’interazione umana, con una condivisione di ascolto reciproco. Bisogna stare assolutamente sui social per migliorare la propria reputazione, ma in una logica coordinata”, ha sottolineato Simona Petrozzi, di Siro Consulting. Della serie, occhio ai commenti fuori tema, che rischiano di dare un’immagine falsata dell’azienda.
PICCOLI E GRANDI RISCHI DELLA RETE
Stare connessi conviene, ma bisogna tenere gli occhi bene aperti. Per Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager, “il web ha creato una sorta di gigantesca memoria collettiva, in cui un’azione online diviene immediatamente accessibile a tutti, perdendo la possibilità di essere monitorata”. Per il numero uno di Federmanager c’è poi un altra criticità da definire, ossia “quella del diritto all’oblio, da considerare quando si deve ricostruire la propria reputazione”. “Qualunque cosa si faccia sulla rete diventa automaticamente un fatto”, avverte Caterina Flick, legale presso lo studio Nunziante Magrone. “Bisogna sempre valutare la fonte dell’informazione che va sul web. Spesso ci sono bufale, ma il danno è fatto uguale”.
ALFANO, DIRITTO CRONACA NON E’ DIRITTO INSULTO
Sulla questione ha detto la sua anche il governo, rappresentato per l’occasione dal ministro dell’Interno Angelino Alfano. “Questo tema si può prendere da tanti lati. Il manager è una persona, non una macchina e la reputazione è un pezzo fondamentale nella vita di un manager”, ha sottolineato Alfano. “La comunicazione è cambiata, oggi c’è un tramonto del diritto all’oblio. E’ finito. Siamo speranzosi che nuovi pronunciamenti creino una nuova alba del diritto all’oblio. E questo perchè la reputazione è un diritto insopprimibile della persona. C’è un diritto di cronaca sì, ma questo non vuol dire un diritto all’insulto”.