Arezzo, tranquilla città d’arte e importante meta turistica, negli ultimi mesi è stata scossa ...
L’intervento
di Avv. Caterina Flick*
Arezzo, tranquilla città d’arte e importante meta turistica, negli ultimi mesi è stata scossa da vicende che hanno avuto forte impatto sull’opinione pubblica, prima fra tutte la vicenda di Banca Etruria. Sul web, nelle prime pagine restituite dai più importanti motori di ricerca, accanto ai siti istituzionali, si trovano notizie che non contribuiscono a dare una immagine positiva della città e delle imprese che lì operano, e di cui non si sa quanto sarà lunga la coda. Secondo recenti studi del World Economic Forum, il 25% del valore di mercato di una società è direttamente imputabile alla reputazione. La responsabilità nella gestione del rischio reputazione aziendale risiede principalmente nel top management e nel CdA. E infatti, l’80% dei manager mondiali dichiara che il più grande rischio per loro è quello reputazionale. La reputazione oggi viaggia sul web: in questo contesto la tutela della reputazione e il suo rapporto con il diritto all’informazione (a informare e a essere informati), da sempre oggetto di grandi dibattiti. Da un lato il diritto della persona a non essere diffamata e al rispetto della privacy; dall’altro il diritto di cronaca e di critica di chi scrive e di chi legge. Sul web la contrapposizione tra questi diritti assume dei contorni più sfumati. Da un lato c’è l’accesso facile ad informazioni facili. Chiunque ha la possibilità di informare e di informarsi, senza alcun filtro e al di fuori dei circuiti che, bene o male, sono considerati attendibili. Inoltre la conoscibilità di ciò che è pubblicato non trova più i limiti di spazio e di tempo che sono propri dei media tradizionali. Dall’altro lato, e di conseguenza, la persona viene vista “a tutto tondo”. Ogni informazione, ogni gossip, ogni immagine concorrono alla creazione della reputazione individuale. Il diritto a non essere diffamati e al rispetto della privacy si trasforma quindi nel diritto ad una corretta rappresentazione di ciò che la persona è in un dato momento, anche evitando che il suo passato possa condizionarne il presente e il futuro. In sintesi, l’informazione lesiva che in un dato momento è legittimata in base ai principi del diritto di cronaca e di critica, in un momento successivo può non esserlo più. Per questo la tutela della reputazione oggi richiede l’uso di strumenti diversi dal passato. Strumenti legali diversi prima di tutto. Le azioni per diffamazione, la rettifica, l’esercizio del diritto all’oblio, devono essere portate avanti con modalità nuove, spesso al di fuori delle aule di giustizia. Destinatari delle richieste non sono più solo giornalisti ed editori, ma anche i privati e, grazie anche alle recenti prese di posizione delle Corti internazionali, gli Internet Service Providers che tecnicamente contribuiscono alla diffusione delle informazioni e alla loro facile reperibilità. E poi l’ausilio di strumenti informatici prima sconosciuti. La reputazione va costruita, ancor prima che difesa, utilizzando in modo intelligente gli strumenti della comunicazione digitale e creando una web (o brand) identity forte. Sul presupposto, evidentemente, di porsi in modo trasparente rispetto alla collettività. Infine sull’esercizio del diritto all’oblio. Secondo le statistiche di Google, quasi il 50% delle richieste di deindicizzazione (rimozione del link partendo dal nome e cognome/ nome azienda) sono state accolte. Tra queste, in Italia, poco meno del 30%. Non è poco se si pensa che Google punta ad ergersi a “giudice” e difensore dell’informazione, più che a valutare realmente la fondatezza delle richieste degli interessati. Per fortuna ci sono altri giudici, più obiettivi, che possono valutare anche l’operato di Google.
*Studio Legale Nunziante Magrone