Il nostro non è un lavoro di “ripulitura del web”, ma di ripristino della ...
Le etichette sono hate speech e fake news; le azioni minacce e commenti offensivi per un verso, notizie false per un altro. L'habitat ideale per diffondersi è il web.
I casi sono all'ordine del giorno: dagli attacchi alla cantante Emma Marrone per la sua difesa dell'apertura dei porti in favore dei migranti agli insulti contro l'ex assessore provinciale di Gorizia, Ilaria Cecot, che vanno avanti dal 2014. Anche in questo caso per gli interventi in favore degli immigrati. Le sole rettifica o denuncia per diffamazione non bastano più per ripristinare la reputazione: all'avvocato si affiancano altre figure professionali, anche per contrastare immediatamente la viralità delle informazioni e limitare i danni.
L'importanza del fattore tempo e della multidirezionalità delle azioni di contrasto, se da una parte rende fondamentale l'informazione e la consapevolezza del rischio, dall'altra porta in campo ingegneria informatica, psicologia e web reputation. L'obiettivo è fermare il fenomeno, senza tralasciare la raccolta delle prove, e immettere in rete contenuti corretti mentre la vittima recupera fiducia e autostima.
"Bisogna verificare subito il luogo dove sono pubblicate le informazioni: prima inizia l'intervento, maggiori le possibilità di esiti positivi", spiega l'avvocato penalista Caterina Flick, of counsel Nunziante Magrone e docente di Diritto internazionale della società digitale presso l'Università Uninettuno. Un approccio integrato con professionisti di cui si conoscono approfonditamente le competenze permette di costruire "caso per caso" la squadra operativa. "L'intervento di ognuno può variare sulla base degli apporti altrui. Si tratta di un lavoro sartoriale legato alla nostra reputazione, alle nostre conoscenze e alla capacità di calibrare gli interventi sulle esigenze della persona offesa", magari decidendo di non intervenire legalmente ma lavorando nelle retrovie con un'attività di litigation pr.
"L'hate speech non è un fenomeno nuovo, ma è ora facilitato dalle tecnologie digitali sia per il venir meno della fisicità della relazione sia per l'amplificazione dei messaggi attraverso i social media - spiega Isabella Corradini, psicologa sociale e criminologa, presidente e direttore scientifico del centro ricerche Themis -. Per questo l'approccio integrato è utile e imprescindibile, perché coinvolge diverse dimensioni tra cui quella legale, ingegneristica, umana e sociale".
La formazione resta la migliore difesa. Se non basta, l'ingegnere informatico è lo specialista con cui il legale collabora per le indagini forensi. "Per rivalersi in giudizio servono prove incontestabili", ricorda Daniele Muscarella, ingegnere informatico in Siro Consulting. Log di connessione, marche temporali, collegamenti tra firme e avatar alla persona fisica "cristallizzano" alcune informazioni utili a strutturare l'intervento a tutela del cliente, anche per la successiva strategia condivisa con la responsabile della "reputation" per trovare il delicato equilibrio tra i termini esatti da utilizzare nei luoghi adeguati.
Dopo l'analisi, parte il lavoro attorno alla persona. Servono in media dai 6 ai 12 mesi (e dai 10mila euro in su) per intervenire sui commenti lesivi pubblicati su social, articoli, forum e ricostruire un'identità digitale positiva seguendo un piano d'intervento che divide per competenze le azioni e si aggiorna costantemente.
"Non basta dire che "si ripulisce" il web - afferma la web reputation specialist e fondatrice di Siro consulting, Simona Petrozzi. È un lavoro di ricostruzione di un'identità digitale positiva" che mette in parallelo la gestione della crisi, la rimozione dei contenuti offensivi, la pubblicazione di quelli corretti nell'ottica dei motori di ricerca, lo sviluppo della resilienza e il recupero dell'autostima". "C'è ancora molto da fare" chiosa l'avvocato Flick commentando l'ultimo report sull'attuazione del Codice di condotta della Commissione europea per il contrasto all'illecito incitamento all'odio online, cui aderiscono tra gli altri Facebook, Microsoft, Twitter e Youtube. La crescita di rapide valutazioni (l'89% entro 24 ore) e rimozioni dalla rete (72% dei contenuti segnalati) non è che un punto di partenza per "definire meglio cosa rientri nello hate speech e colmare l'inevitabile asimmetria tra chi segnala e la piattaforma che, per ora, mantiene una grande discrezionalità nel valutare cosa rimuovere".
da Reputation Today n°20, a cura di Reputation Agency - marzo 2019
"Ci vogliono venti anni per costruire una reputazione e cinque minuti per rovinarla". La celebre frase di Warren Buffet ormai divenuta di uso comune è ripresa nel film Modalità Aereo di Fausto Brizzi, un film apparentemente leggero che offre invece molti spunti di riflessione.
L'opera di Brizzi, che si è trovato recentemente al centro di un intenso dibattito mediatico, ribadisce l'importanza di tutelare i nostri dati personali sul web (e sui nostri dispositivi digitali) e di tutelare quotidianamente la nostra reputazione on-line, che si basa molto sulla consapevolezza e sul corretto uso del social.
Il tema della Reputazione precede l'avvento del web ma è quest'ultimo che l'ha fatto diventare sempre più influente nella vita delle persone. La perdita di reputazione può essere repentina e diventare un'esperienza devastante per l'individuo, perché rende le sue parole, i suoi gesti e le sue azioni ininfluenti e non più di valore, arrivando a degradare inesorabilmente la proiezione della propria immagine. "Non siamo ciò che diciamo, siamo il credito che ci danno" diceva José Saramago.
Un discorso che vale anche quando parliamo di brand e aziende. Charles Fombrun di Reputation Institute ci ricorda che esistono differenti livelli d'interpretazione della reputazione di un brand. A livello contabile intendiamo un "asset intangibile misurabile che stabilisce la differenza tra il valore delle risorse tangibili dell'impresa (certificate nei bilanci) e il valore effettivo di mercato". In termini economici per reputazione s'intende "l'iniseme di tutti quei segnali, percepiti dagli stakeholders, che le organizzazioni utilizzano per costruire un vantaggio competitivo e comunicare, così, la propria forza". Da un punto di vista sociologico si tratta di "un indicatore di legittimità, un insieme di valutazioni della performance d'impresa, sulle attese e alle norme della società, in un ambiente condiviso".
E' palese quindi come la digital reputation sia tra gli aspetti fondamentali per brand e persone, e sia alla base del successo individuale e lavorativo. Molte persone possono trovarsi con una reputazione digitale (e non solo) lesa da articoli e notizie negative sul proprio conto, notizie spesso non corrispondenti a verità o non aggiornate; al contempo, le stesse persone non sempre riescono a investire su una visibilità positiva in grado di mettere in luce le proprie peculiarità professionali e curriculari.
I motori di ricerca avvantaggiano le notizie negative, quando non vi è nient'altro da sovrapporre. Sul web una rappresentazione positiva è rara e al lettore è spesso preclusa una chiave di lettura "riabilitante".
Una buona attività di web reputation può fornire una sorta di nuovo inizio, seppur virtuale. E' mediante quest'attività che le persone acquisiscono la possibilità di trasmettere una verità alternativa alle notizie, spesso diffamanti e non verificate, che le investono. E' un lavoro che spazia dal ripristino del galateo in rete fino a un self branding strutturato e di successo, passando per le più attente e ricercate strategie SEO.
L'obiettivo è tirare fuori il meglio dalle persone, costruire un personal branding efficace, dove ognuno di noi diventa una risorsa anche sul web. A ciascuno è concesso di diventare un riferimento positivo e credibile online, sulla base della propria storia e delle proprie competenze e non sulla base di notizie "vaghe" e non verificate.
Il presupposto di base è che il confine tra le notizie vere o false sia molto labile, che spesso e volentieri si dà risalto alle notizie denigratorie, accantonando le possibili smentite o relegandole in uno spazio scarsamente visibile. Sempre più spesso assistiamo a indagati che, in attesa della magistratura, vengono immediatamente e pubblicamente crocefissi. Quando poi arriva l'assoluzione arriva, serafica, anche la regola dell'oblio.
Assistiamo altresì a un giornalismo che a volte non si affida a fonti autorevoli e opera con perniciosa superficialità.
Chi lavora sulla web reputation, dunque, cerca di ristabilire la verità ed "equilibrare" i giudizi nei confronti di persone e aziende, un processo lungo e complesso che può riportare alla luce - e quindi ridare lustro - alla vita di individui già "etichettati" dalla rete come colpevoli e sottoposti alla vergogna della diffusione incauta di notizie.
Una notizia non verificata, falsa o calunniosa diventa facilmente virale sul web e contribuisce a costruire un'immagine negativa e dequalificante nei confronti di un soggetto, che spesso subisce una gogna mediatica a 360°. Quest'onta avrà ricadute pesanti e psicologicamente destabilizzanti nei confronti dell'immagine e della sua identità - non solo online - oltre che nella sua situazione lavorativa, familiare e sociale. Le conseguenze psicologiche possono essere diverse: una caduta a picco dell'autostima, la depressione, il senso di fallimento e d'inutilità che andranno a lacerare emotivamente il soggetto coinvolto.
Pertanto va prevista un'attività di empowerment efficace affinché il soggetto leso possa riprendere fiducia in se stesso e partecipare proattivamente alla ricostruzione e riabilitazione della propria figura.
Una riabilitazione di successo è possibile in caso di lesa reputazione. Ciò non vuol dire cancellare il passato - che comunque fa parte della storia del soggetto - ma ripristinare una correttezza dell'informazione che lasci spazio a tutte le risorse positive che l'essere umano porta con sé.